Quinto giorno – Natale nel Medioevo

Buon Natale!

La canzone non è medievale, veramente (musica del XVI secolo e testo del XIX); ma non avevo progettato di inserirla, è qui a causa di un imprevisto. La musica è notissima e non nasce come musica natalizia ma successivamente le fu adattato un altro testo (qualcosa che in Inghilterra si faceva spesso, certe melodie hanno parecchi testi differenti).

Sette tradizioni natalizie del Medioevo

Traduzione mia dell’articolo Seven Medieval Christmas Traditions, dal sito Medievalists.net. Grazie, Peter e Sandra!

In tutta l’Europa del Medioevo il Natale è stato un tempo importante e durante quel periodo nacquero molte tradizioni, alcune delle quali sono diffuse tuttora. Ecco sette cose che avreste potuto vedere durante il Natale nel Medioevo, dai presepi d’Italia ai troll dell’Islanda.

1) Il banchetto di Natale

Non è sorprendente che il cibo fosse un elemento importante del Natale medievale. La festa cade in un periodo che segue i raccolti e in cui non c’è granché da fare nelle fattorie. A meno che gli animali non dovessero essere mantenuti oltre l’inverno, era un buon momento per macellarli. Questo generava una gran quantità di cibo che rendeva il Natale un momento perfetto per un banchetto. Nel 1213 il re d’Inghilterra  Giovanni offrì un banchetto natalizio e i registri reali mostrano che ordinò grandi quantità di cibarie. Uno degli ordini prevedeva 24 barilotti[1] di vino, 200 teste di maiale, 1.000 galline, 500 libbre di cera, 50 libbre di pepe, 2 libbre di zafferano, 100 libbre di mandorle, insieme ad altre spezie, tovaglioli e tovaglie. Se non bastasse, il re ordinò allo sceriffo di Canterbury di fornirgli 10.000 anguille salate.

Anche i banchetti di persone un po’ meno ricche erano comunque elaborati. Richard di Swinfield, vescovo di Hereford, invitò 41 ospiti al suo banchetto di Natale nel 1289. Oltre ai tre pasti serviti quel giorno, gli ospiti mangiarono due manzi e tre quarti, due vitelli, quattro cervi, quattro maiali, sessanta polli, otto pernici, due oche, insieme a pane e formaggio. Nessuno ha tenuto il conto della birra bevuta ma gli ospiti riuscirono a consumare 40 galloni[2] di vino rosso e altri quattro galloni di bianco.

Si faceva festa anche tra i contadini e i registri delle case padronali a volte rivelano che il signore del luogo offriva alla sua gente dei cibi speciali per Natale. Per esempio, nel XIII secolo un pastore in una tenuta nel Somerset riceveva una pagnotta di pane e un piatto di carne la vigilia di Natale, mentre il suo cane riceveva una pagnotta il giorno di Natale. Altri tre fittavoli della stessa tenuta si dividevano due pagnotte di pane, un piatto di manzo e pancetta con mostarda, un pollo, formaggio, legna per cucinare e tutta la birra che riuscivano a bere durante il giorno.

2. I mimi di Yule[3] dalla Scandinavia

Dalla sera della vigila di Natale fino alla dodicesima notte,[4] i giovanotti delle zone settentrionali d’Europa usavano andarsene in giro nel bel mezzo della notte a spaventare la gente nelle strade e nelle fattorie. Indossavano maschere spaventevoli e “si camuffavano alla vecchia maniera del diavolo”.[5] Nelle lunghe notti buie i giovani mimi cercavano di spaventare la gente fingendosi fantasmi o troll o altre strane creature. Per il XVI e il XVII secolo si può leggere delle apparizioni della Capra di Yule, a causa della quale “i bambini ancora tremano e rabbrividiscono e sono presi dal panico”. Ecco come descrisse la capra un tale nel XVII secolo:

Il giovanotto che maneggiava la capra di Natale aveva congiunto due pali in maniera che la parte superiore di uno di essi portava una testa oblunga che somigliava a [quella di] una capra. Le mascelle si potevano aprire e chiudere come lui voleva e questo faceva un gran fracasso. All’estremità dell’altro palo, che serviva da coda della capra, aveva messo dei campanelli tintinnanti.

Il giovanotto era forte. Era coperto di pelliccia, entrò nella casa e attaccò ciascuno dei presenti, gridando. Chiese pane o torta o formaggio e quando ebbe ricevuto tutto ringraziò muovendo la coda della capra di Yule così da far tintinnare i campanelli, ma quelli che non gli avevano dato nulla cercò di colpirli con il palo che faceva da coda.

Quando il mimo ebbe saltato così all’intorno e salutato tutti quelli che sedevano a tavola con gesti grotteschi, se ne andò di fretta saltando come se danzasse.

3) Il vescovo di Natale

In alcune zone dell’Europa occidentale si trovano resoconti dell’elezione di un vescovo ragazzino, spesso il 28 dicembre, che è la festa dei Santi Innocenti massacrati dal re Erode.

In Inghilterra questa pratica si può far risalire al 12mo secolo, quando i ragazzi erano eletti vescovi nelle chiese o nelle scuole.[6] Al ragazzino era consentito rivestirsi dei paramenti e celebrare una parodia della Messa con tanto di omelia. Poi usciva in processione, durante la quale riceveva doni di monete e cibarie. Perfino i re inglesi partecipavano alla festa – Edoardo I assistette ai vespri celebrati da un vescovo ragazzino nel 1299 e suo figlio Edoardo II ricompensò un altro vescovello con dieci scellini nel 1316. Nell’Europa continentale la pratica era un poco differente. Un resoconto della Danimarca descrive come si diventasse il vescovo:

Vescovo di Natale è il nome di un giovane uomo che è consacrato vescovo in un gioco natalizio che si svolge così: i giovani piazzano uno della loro gilda, vale a dire la gilda dei non ancora sposati, su una sedia. Gli anneriscono la faccia e gli mettono un bastone in bocca con un mozzicone di candela a ogni estremità. Poi giovanotti e fanciulle gli corrono intorno in cerchio e recitano: «Consacriamo un vescovo di Natale in nostro favore» e, dopo che han fatto questo per tre volte, egli è il vescovo consacrato di Natale.

Ovviamente il vescovo di Natale aveva doveri da compiere: egli “celebra le nozze di tutte le coppie che gli pare, provenienti dalla gilda, facendo strane smorfie e parlando con voce contraffatta, dopodiché le coppie sposate devono offrire qualcosa. Coloro le cui offerte non sono apprezzate vengono colpiti con una borsa piena di ceneri che il vescovo tiene nascosta sotto il mantello”.

I matrimoni duravano una notte – e possiamo solo immaginare come le coppie felici trascorressero la loro luna di miele natalizia.

4) Dalla Francia, giochi di dadi e partite di calcio tra villaggi

Il 26 dicembre 1396 Jehan Werry, un tagliatore di panni, si trovava in una taverna nella cittadina francese di Senlis quando alcuni del luogo lo convinsero a giocare a dadi con loro, perché “è ancora Natale”. Jehan giocò ma fu smaccatamente ingannato dagli altri giocatori e perse cinque franchi d’oro. Jehan peggiorò il suo errore cercando di rubare del denaro a suo cugino per rifarsi delle perdite. In Games in Their Seasons,[7] Jean-Michel Mehl rileva che nella Francia medievale due attività appaiono spesso collegate al Natale, e una di queste è il gioco dei dadi. Perfino il re Carlo VII (1422-1461) fu persuaso una volta a “giocare a dadi e a far baldoria durante la Festa di Natale”. Anche se alcuni prelati della Chiesa di Francia tentarono di bandire questo gioco durante la vigilia di Natale, la pratica continuò e sembra essere stata molto diffusa.

Il gioco dei dadi si poteva trovare anche in altre parti d’Europa. Nel regno di Castiglia, le leggi a partire dal 13mo secolo in poi riportano che il monopolio regale sulle case da gioco era sospeso durante la vigilia e il giorno di Natale. nel frattempo, nel 1511 il re d’Inghilterra Enrico VIII vietò ai suoi servitori vari giochi, tra cui i dadi, ma consentì loro di giocarli durante i dodici giorni di Natale.

Un altro popolare passatempo natalizio nella Francia medievale era il gioco del soule, che si giocava una volta l’anno tra villaggi vicini. Mehl spiega che «il gioco ha molte varianti regionali ma si basa su un principio assai semplice: due squadre rivali compoetono per il possesso di un grande ciocco di legno o di una palla di cuoio riempita di muschio, chiamata eteuf o pelote. Essa è giocata colpendola con i pugni, con calci o con bastoni incurvati. Durante le partite, a cui partecipano dozzine di giocatori, ogni colpo è consentito, il che spiega il gran numero di ferite o perfino di morti e, di conseguenza, l’altissima frequenza con cui questo gioco è menzionato nelle richieste di grazia».

5) I presepi in Italia

L’usanza di preparare una culla (crèche) e una scena della Natività è a volte fatta risalire a san Francesco d’Assisi, che nel 1223 ne allestì una in una grotta del paese di Greccio e lì celebrò la messa di Natale e una sacra rappresentazione della Natività. Riferimenti ai presepi si trovano nel 1272 a Roma e nel 1343 a Napoli, ma la pratica si diffuse in altre parti d’Europa nel tardo Medioevo.

Fino al XVI secolo il presepio consistette di tre figure – il bambino nella culla e due animali che lo tenevano al caldo. Queste figure erano collocate accanto all’altare su cui si celebrava la Messa. Alla fine del Medioevo furono aggiunte le figure di Maria e Giuseppe e gradualmente la scena della Natività divenne più complessa con l’aggiunta dell’adorazione dei pastori, rendendo mobili alcune figurine e includendo anche la musica.

6) Il Natale in una corte rinascimentale

Durante il regno di Galeazzo Maria Sforza (1466-1476), il Natale era la data più rilevante nel ducato di Milano. Gregory Lubkin ha illustrato come il duca e la città si preparassero per i dodici giorni di Natale, sette dei quali erano feste ufficiali. Era così importante per il duca che egli inviava ordini a tutta la nobiltà minore perché trascorressero il Natale a Milano, a meno che fossero ammalati, insieme ai cortigiani, ai funzionari e ai diplomatici stranieri.

Mentre i funzionari del duca elaboravano i protocolli e gli ordini necessari per avere tutti questi ospiti presenti alle feste, il duca stesso si dedicava a un’orgia di assunzioni stagionali, raddoppiava il numero di ciambellani al suo servizio portandoli a 125 e accresceva il numero dei gentiluomini di corte da 24 a 100. Lubkin sottolinea altri preparativi: «venivano allestite cucine temporanee, si portavano argenteria da tavola e altre suppellettili dal Castello di Pavia e beni di consumo come legna, cera, vino e pane erano ammassati in gran quantità».

Si tenevano varie feste e si celebravano molte Messe, incluse le tre cui il duca assisteva il giorno di Natale nella sua cappella privata. Il culmine dei festeggiamenti si aveva il 24 dicembre,[8] con una cerimonia nota come “il Ciocco”, che si teneva nella sala grande del duca. «Questa cerimonia era l’equivalente milanese del ciocco di Natale[9]» scrive Lubkin, «il ciocco veniva decorato con frutti e fogliame, tra cui ginepro e alloro erano particolarmente abbondanti. Veniva portato in casa al tramonto, messo nel focolare e acceso tra l’allegria di tutti. Un banchetto seguiva questo antico rito del fuoco e della rinascita, che era poi ripetuto il 31 dicembre».

La presenza di tanti funzionari e diplomatici nello steso posto consentiva anche il disbrigo di affari di Stato e, puntualmente, approcci diplomatici. Questa era anche la stagione in cui si trattavano i matrimoni tra gli Sforza e altre famiglie regnanti d’Italia e d’Europa. Il duca, però, era spesso impegnato o ad assistere alle Messe o a partecipare a giochi di abilità o d’azzardo. Durante la vigilia di Capodanno del 1471, durante un lussuoso ricevimento, il duca ordinò a tutti i suoi ospiti di unirsi a lui nel gioco d’azzardo, offrendosi perfino di prestare denaro a quelli che non potevano permettersi le poste.

Il Natale del 1476 fu festeggiato con assai minor pompa, avendo il duca deciso di non ospitare grandi raduni perché in Milano erano stati scoperti focolai di peste. Galeazzo era anche preoccupato che i suoi stessi familiari stessero complottando contro di lui e aveva mandato due dei suoi fratelli a trascorrere l’inverno in Francia. Ma non era della sua famiglia che avrebbe dovuto preoccuparsi, visto che furono tre dei suoi funzionari a colpire il duca. Il 26 dicembre, Galeazzo si recava con un piccolo seguito alla chiesa di santo Stefano per la Messa, quando tre cortigiani lo attaccarono con pugnali e spade, trafiggendolo quattordici volte. Il duca Galeazzo Maria Sforza morì all’istante.

7) Troll natalizi in Islanda

Nell’Islanda medievale, il Natale cadeva in un periodo in cui la luce del giorno dura solo 4-5 ore, seguita da lunghe notti fredde. Era anche un tempo di pericolo, in cui creature malvagie giravano sulla terra. Le saghe islandesi riportano molti strani eventi avvenuti durante le  feste di Yule.

Nella Eyrbyggja Saga un agricoltore invita i suoi vicini alla festa di Natale ma si vede arrivare una frotta di fantasmi che si scrollano il fango di dosso inzaccherando gli altri ospiti. Coloro che cercano di fermarli, si ammalano e muoiono.

Nella Grettir Saga il pericolo viene dai troll, come riporta questo racconto:

Il Natale si avvicinava. Alla vigilia, il pastore uscì con le sue pecore. La padrona gli disse: «Spero  che le nostre disavventure del passato non si ripeteranno».

«Non temere di questo, padrona» rispose lui. «Se non tornerò , avrete qualcosa d’interessante da raccontare».

Poi portò fuori le pecore. Faceva molto freddo e c’era una forte tormenta. Thorgaut di solito tornava quando cominciava a farsi buio, ma stavolta non venne. La gente andò in chiesa come al solito, pensando che le cose somigliavano proprio a come erano state l’ultima volta. Il bóndi voleva che andassero fuori a cercare il pastore, ma i presenti si misero a gridare e dissero che non si sarebbero buttati nella notte tra le braccia dei troll; il bóndi non ebbe il coraggio di andare e non ci fu alcuna ricerca. Il giorno di Natale, dopo aver mangiato, uscirono a cercare il pastore e andarono prima di tutto al tumulo di Glam, certi che la sparizione del pastore dipendesse da lui. Avvicinandosi al tumulo apparve loro una vista orrenda: il pastore era lì, col collo spezzato e ogni osso del corpo divelto dal suo posto.[10]

Alla fine del Medioevo, le storie e le credenze circa la Huldufólk (il Popolo Nascosto) erano assai diffuse e si cominciò ad associare gli elfi al Natale – si diceva che s’impadronissero delle case per tenervi sfrenate feste danzanti. Questa credenza è rimasta popolare nell’Islanda odierna.

 

Fonti

Gunnell, Terry, “The coming of the Christmas Visitors…Folk legends concerning the attacks on Icelandic farmhouses made by spirits at Christmas”, Northern Studies, Vol.38 (2004)

Lubkin, Gregory, “Christmas at the Court of Milan: 1466-1476,” Florence and Milan: Comparisons and Relations (La Nuova Italia Edittrice, 1989)

Mehl, Jean-Michel, “Games in their Seasons,” Custom, Culture and Community in the Later Middle Ages: A Symposium (Odense University Press, 1994)

Pimlott, J.A.R., The Englishman’s Christmas: A Social History (Harvester Press, 1978)

Pio, Iorn, “Christmas Traditions in Scandinavia,” Custom, Culture and Community in the Later Middle Ages: A Symposium (Odense University Press, 1994)

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[1] L’originale porta hogshead, che è un barilotto ma anche un’unità di misura da 238,5 litri. Per questo, ho tradotto con “barilotto” ma il conto va fatto con l’unità di misura.

[2] Un gallone conta 4,5 litri circa.

[3] Yule è un termine che, in inglese, indica il Natale e il periodo natalizio; in italiano rimane invariato. In origine, però, Yule indicava una festa che i popoli settentrionali tenevano in quel periodo per celebrare il solstizio d’inverno. Di questa festa non si hanno grandi conoscenze ma solo cenni; sappiamo che esisteva e poco più. Così Yule è diventato sinonimo di Natale sia in inglese sia in altre lingue nordiche. Tuttavia l’autore qui ha usato entrambi i termini e io preferisco tenerli separati.

[4] La dodicesima notte, Twelfth Night, è la notte tra il 5 e il 6 gennaio, quando da noi passa la Befana.

[5] Le virgolette sono nel testo originale, che però non indica mai la fonte esatta della citazione né per questa né per le altre. Quando la fonte è comunque chiara, ho usato le virgolette a caporale («»), altrimenti ho lasciato quelle alte. Quanto alla maniera in cui si camuffa il diavolo, suppongo che possa essere la maschera da capra di cui si parla più avanti.

[6] Il finto vescovo si chiamava episcopellus, vescovello e, riporta Cattabiani nel Calendario (cap. 2, paragrafo Avvento, alla voce “San Nicola e i Saturnali”), veniva eletto il 6 dicembre, festa di san Nicola, anche se poi “celebrava” il 28. Ma secondo Cattabiani questa era un’usanza dei seminaristi, non del popolo in generale, benché il popolo partecipasse.

[7] In italiano sarebbe “Giochi di stagione”, se qualcuno lo avesse tradotto.

[8] E meno male che dovevano essere feste per i dodici giorni…

[9] Nell’originale è Yule-log. In inglese log significa appunto “ciocco”

[10] Il racconto è nel capitolo 33 della Saga. Il termine bóndi indica un uomo libero e possidente; qui si riferisce al datore di lavoro del pastore disperso. C’è da dire che il responsabile di questa particolare morte è un fantasma (Glam, appunto) e non un troll. Poco prima di questo episodio, Glam era stato ucciso da uno spirito maligno, non s’era potuto portarlo in chiesa per seppellirlo decentemente e così era stato tumulato nella brughiera, dove non riusciva a riposare in pace, per cui attaccava e feriva gli uomini che passavano lì intorno; a questo si riferisce la padrona con “disavventure del passato” ed è per questo che gli uomini vanno a cercare il disperso presso il tumulo di Glam.

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