Categoria: economia, agricoltura… ma sempre in italiano
Esistono due equivoci relativi ai prezzi agricoli. Uno colpisce tutti, l’altro colpisce soprattutto chi acquista i prodotti agricoli nei negozi.
Vediamo prima quest’ultimo, che è la teoria di base. Se non si capisce questo, si fanno solo chiacchiere. .
Mi è capitato di sentire in tv una signora che, intervistata in un supermercato, diceva più o meno: “Certo che di questo prezzo all’agricoltore non gli arriva quasi niente”.
Questo è vero; ma il fatto che all’agricoltore arrivi una piccola parte di quel prezzo non significa per forza che ci sia della speculazione, come molti sembrano credere.
(Magari fosse solo speculazione. Purtroppo il problema è più grave di così.)
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Innanzitutto bisogna sapere da che cosa è costituito un prezzo o costo che dir si voglia. Propriamente, il prezzo è il valore assegnato a qualcosa che si vuol vendere; il costo è quella medesima cifra per chi la paga, ovviamente dopo averla pagata.
In agricoltura o artigianato o manifattura, nessuno si alza una mattina dicendo: “Oggi le rape – o i fazzoletti o i bulloni – le vendo al prezzo x”. Questo si potrà fare coi rubini e le statue ma non con le rape o i bulloni.
Il prezzo o costo di qualunque bene che non sia una rarità è costituito dalla somma dei costi di quattro categorie che sono necessarie per ottenere quel bene:
* le strutture (dove entrano tutti i capitali, le macchine, gli edifici, perfino gli animali),
* l’energia,
* il lavoro
* e le tasse (imposte, tasse e contributi).
Questo schema – che non è quello canonico, l’ho elaborato io per comodità – è lo stesso in ogni tipo di produzione, anche nell’estrazione dei rubini o nello scolpire una statua. In questi due casi, è la rarità che consente di fissare i prezzi come ci pare, non il resto.
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Per un dato prodotto, ogni azienda ha dei costi fissi, relativi al mero fatto di esistere e operare, e dei costi variabili relativi al prodotto specifico. Il prezzo di vendita di un prodotto deve almeno coprire questi costi. La copertura di questi costi è proprio il minimo che si può chiedere.
Poniamo che l’agricoltore abbia, per un chilo di cavolo nero, costi fissi pari a 0,85 e costi variabili pari a 0,15: la sua somma di costi sarà pari a 1 per un chilo di cavolo nero.
Se qualcuno, diciamo un’impiegata madre di famiglia, si reca in azienda a comprare un chilo di cavolo nero dall’agricoltore, paga 1.
Se però l’impiegata va a comprare il cavolo nero dal fruttivendolo, quel cavolo nero avrà subito alcuni passaggi che ne avranno fatto aumentare il prezzo.
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I. Dall’azienda agricola il cavolo sarà andato a un grossista.
Il grossista, proprio come l’agricoltore, ha delle strutture, impiega energia, lavora e fa lavorare altri e paga le tasse. Diciamo che il grossista abbia una propria somma di costi pari a 1 e che abbia pagato 1 all’agricoltore, per un chilo di cavolo nero. Ora quel chilo di cavolo nero è arrivato a costare 2.
Se l’impiegata si recasse dal grossista, pagherebbe 2 per lo stesso chilo di cavolo nero. Ma questo di solito l’impiegata non lo può fare, quindi c’è un passaggio ulteriore.
II. Dal grossista, il cavolo nero va al dettagliante (ossia il fruttivendolo).
Poniamo che il dettagliante, trovandosi in condizioni simili al grossista, abbia una propria somma di costi pari a 1 e che abbia pagato 2 al grossista per un chilo di cavolo nero. Ora il cavolo è arrivato a costare 3.
L’impiegata va in negozio e paga il triplo per lo stesso chilo di cavolo nero, rispetto a quanto lo pagherebbe in azienda.
Ha però la possibilità di poter “passare al volo” al negozio per fare la spesa, quando esce dall’ufficio, senza doverci andare apposta; di non impiegare tempo e carburante per recarsi in azienda; di trovare vari altri beni, insieme al cavolo, il che le fa risparmiare tempo; di poter mettere insieme una serie di altre incombenze da svolgere sulla via di casa, oltre a comprare quel cavolo nero.
Insomma, avere il fruttivendolo sulla strada dall’ufficio a casa è comodo perché fa risparmiare tempo.
E la comodità costa.
È questo che paghiamo, quando andiamo in negozio anziché in azienda: la comodità (intesa come risparmio di tempo, essenzialmente) e i costi degli intermediari.
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La causa per cui i prezzi in negozio sono più alti che in azienda è la natura stessa degli scambi di mercato.
Le strutture costano, il lavoro costa, l’energia costa e le tasse costano.
Più passaggi ci sono, più costi ci sono: e si scaricano tutti sull’ultimo acquirente; che paga la comodità di acquistare verdura fresca vicino a casa.
Come mai, allora, se la natura del mercato è questa, ci sono così tanti problemi da avere indotto tanti agricoltori a bruciare costosissimo gasolio per invadere le strade e le città?
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Ci sono, come si può intuire, dei problemi contingenti. Se il costo dell’energia aumenta, è ovvio che aumenteranno i costi per ogni passaggio e quindi aumenterà il prezzo finale.
Gli agricoltori, però, si lamentano che i prezzi ottenuti non coprono i costi di produzione. Nel frattempo i supermercati fanno i “sottocosto”.
Com’è possibile? Qualcosa non funziona.
E siamo arrivati al primo equivoco, quello che colpisce tutti.
Nel 1999 cominciai a lavorare per Confagricoltura e già allora si diceva: Produciamo con i prezzi dell’industria e vendiamo con i prezzi dell’agricoltura.
Prima ancora, all’università, quando studiavo per l’esame di Estimo & Contabilità e facevo i nostri bilanci aziendali, avevo scoperto che i coltivatori diretti (come mio padre) praticamente lavoravano gratis. Le aziende a conduzione diretta come la nostra avevano tutte i bilanci in rosso; era la normalità, mi disse il docente dopo il terzo bilancio negativo, non ero io che avevo la testa di legno.
Era “la normalità” nel 1995 o giù di lì.
Si capisce dunque che il problema non è il Covid, non sono le guerre a oriente, non è il canale di Suez.
Il problema è molto più vecchio e sta nell’avere snaturato il mercato, riducendo le opportunità e le strutture di vendita diretta per dare spazio a un altro modello, quello della grande distribuzione, via via più “globale”.
Visto che c’ero, posso anche testimoniare che il problema è cominciato negli anni Settanta… ma per oggi basta.