Prepariamoci perché la Cina (metafora) è vicina

Questo post non c’entra con le parole;
ma le parole c’entrano con tutto,
poiché non siamo scimmie, da esprimerci a gesti e versi. 

Non ho mai avuto niente contro i cinesi; anzi, apprezzo molte cose che provengono da quel popolo. Per questo tengo a precisare che nel mio titolo la Cina è una metafora.

Per me, è una metafora.

Disgraziatamente per alcuni altri è una realtà da prendere a modello mentre per altri ancora è un vicino opprimente. In entrambi i casi, va detto, non si tratta effettivamente della Cina, si tratta dell’attuale regime cinese.

Che dovrei pensare? In tre giorni mi è capitato di leggere le frasi che seguono, in tre articoli diversi; e forse altri avranno espresso pareri simili, che non mi è capitato di leggere. Continua a leggere “Prepariamoci perché la Cina (metafora) è vicina”

G.K. Chesterton, Chiesa e Stato

Un vecchio articolo che tradussi qualche anno fa per la Distributist Review

G.K. Chesterton 

CHIESA E STATO 

(Church and State) 

G.K.’s Weekly, May 4, 1933

 

Potrebbe essere pura coincidenza, ma è uno strano fatto storico che, benché la Chiesa e lo Stato siano sempre stati in disaccordo nella maggior parte dei paesi del mondo, lo Stato non sembra mai cavarsela troppo bene senza la Chiesa.

Dai tempi in cui lo Stato era governato dall’uomo che aveva più potenza, più soldati al suo comando, fino ai tempi in cui lo Stato è governato dall’uomo che ha più denaro, la voce più forte o più giornali al suo comando, la Chiesa è stata sia un aiuto sia un fastidio per lo Stato. È stata un aiuto perché insegnava alla gente a comportarsi bene, a mantenere l’ordine sociale e a sopportare con pazienza le tribolazioni. È stata un fastidio perché insisteva che le persone che si comportano così devono essere governate con giustizia, su una base di equità sociale ed economica.

La Chiesa ha sostenuto l’autorità dello Stato ma ha posto scomodissimi limiti e definito il legittimo esercizio di quell’autorità. Lo Stato, lasciato a se stesso, si sarebbe preso tutto, [un popolo disciplinato e un’autorità senza limiti, N.d.T.] perché lo Stato è una faccenda assai più caotica della Chiesa. La sua autorità, benché possa venire da Dio, è stata stabilità con la forza o con la minaccia della forza. Ma la forza a disposizione dello Stato non è stata sempre costante o bastante. In tali casi, lo Stato è sopravvissuto e ha ottenuto la sua stabilità e organizzazione perché il popolo, istruito dalla Chiesa, ha dato valore alla sua autorità e perciò l’ha rispettata.

Ogniqualvolta si sono sentiti sicuri, i Governi hanno perseguitato la Chiesa, l’hanno derubata e hanno deriso la sua importanza per il popolo e lo Stato. Dato che la forza che spalleggia l’autorità dello Stato può essere usata per depredare, vale a dire che i lavori governativi possono sempre essere usati per far soldi, la sfera del Governo ha sempre attratto uomini avidi e privi di scrupoli così come uomini onesti e dotati di senso civico. E siccome i privi di scrupoli hanno pur sempre questo vantaggio rispetto agli scrupolosi, in genere sono loro gli alti papaveri. L’unico freno a chi cerca di farsi gli affari suoi nei governi è dato dagli insegnamenti morali della religione, della Chiesa.

È significativo che i Paesi civilizzati del mondo siano ora in uno stato di disordine economico senza precedenti, il che vuol dire che sono sull’orlo di un disordine sociale senza precedenti e che si avrà il collasso dei governi che non sapranno prevenirlo, che non riescono a governare, mentre dovunque la religione e la Chiesa sono oppresse o solo tollerate dai governi. Dove si fanno tentativi seri, su direttrici accuratamente studiate, per affrontare il caos, come in Russia e in Italia, la religione è talmente necessaria allo Stato che lo Stato stesso si propone come un dio, con la sua teoria politica come religione. In Italia, dove si è trovato che la Chiesa è troppo forte, è stato raggiunto un compromesso e la Chiesa è meglio tollerata come amica che come nemica.

La spiegazione e la sostanza di questa faccenda sono abbastanza chiare; ed essa offre una soluzione ai problemi sociali ed economici di tutto il mondo. Sfortunatamente si tratta di una soluzione sgradevole al palato degli arrivisti, i pagani internazionali che sono molto ricchi o i politici internazionali che sono molto potenti, i quali in fin dei conti hanno di mira la stessa cosa.

La soluzione si trova in due caratteristiche essenziali della natura umana, ragione e senso morale. L’uomo è un animale che ragiona. Per vivere gli è stata data la ragione, anziché l’istinto che è stato dato al resto del mondo animale. L’uomo non può vivere come vivono ratti e conigli. Quando ci prova, muore. Non ha il loro equipaggiamento. Ha un altro equipaggiamento che richiede di vivere in un altro modo. L’uomo deve considerare ogni aspetto del suo modo di vivere, come vivrà da individuo. Allo stesso modo, gli uomini devono pensare a ogni dettaglio e pianificare come vivranno insieme armonicamente nello Stato. Prima di poter elaborare un piano, individuale o collettivo che sia, devi avere dei principi di base su cui lavorare. Per essere adeguati alla natura umana, questi principi devono essere perlomeno di due tipi, fisico e spirituale, o se preferite, morale.

Dal lato fisico, devi essere consapevole dei principi che governano la produzione di cibo e carburante, mezzi di trasporto e simili, e su di essi basare la tua azione.

Dal lato morale, devi essere consapevole dei principi che governano le relazioni degli uomini l’uno con l’altro, con le loro famiglie, i loro impiegati e datori di lavoro, che cosa possono legittimamente fare l’uno all’altro e che cosa non possono fare.

La Chiesa si è sempre occupata di questa seconda dotazione di princìpi e lo Stato fino a tempi recenti è sempre stato guidato, riguardo ad essi, dalla Chiesa. Quando lo Stato ha cominciato a deridere la Chiesa, nei tempi che hanno preceduto l’attuale disordine economico e sociale, la convenienza spicciola è stata messa prima dei princìpi. Se i lavoratori minacciavano guai seri, allora (e non prima) veniva imposto un minimo di freno ai datori di lavoro che li opprimevano. Mentre sorgeva una difficoltà dopo l’altra, il Governo ha preso la via più facile e veloce per uscire dai guai, senza guardare alla giustizia. La previdenza statale, che ha corrotto tanto i lavoratori quanto i datori di lavoro, anziché una giusta remunerazione che consenta al lavoratore di provvedere alla sua famiglia in ogni circostanza; il proibizionismo in America e il divorzio facile dovunque anziché l’opportuna educazione dei giovani; la creazione di una condizione sociale in cui gli uomini dipendono dallo Stato per il pane quotidiano, anziché una in cui essi possano ottenere da sé il pane quotidiano; la distruzione del cibo anziché stabilire giusti prezzi per assicurare un reddito ai produttori; e ora il commercio obbligato, anziché giuste contrattazioni attraverso mediatori, per far rivivere un’agricoltura storpiata: tutti questi sono espedienti privi di attenzione per la giustizia o le conseguenze morali.

Ora supponete, supponete soltanto, che ogni stato avesse fatto ciò che la Chiesa ripeteva che si dovesse fare. Supponete che lo Stato avesse emanato e messo in vigore leggi contro l’“oppressione del povero” e il “defraudare i lavoratori della giusta ricompensa”, contro l’ingannare il proprio fratello negli affari, contro i profitti iniqui e usurai, contro il rigetto delle responsabilità sociali da parte dei ricchi, contro le forme di menzogna e inganno e rovina dei concorrenti, che vanno sotto il nome di “affari” e “finanza”. Qualcuno riesce a immaginare che, se si fosse fatto tutto questo, oggi ci sarebbe una qualunque forma di socialismo o comunismo o complicati meccanismi finanziari internazionali il cui prossimo collasso minaccia di ridurre alla fame poeti e contadini e pure i politici? Le grandi imprese sarebbero state impossibili, il socialismo non necessario.

Non può esserci ordine sociale o stabilità, nessun sistema funzionante, economico, finanziario o industriale, che non sia costruito in accordo con il sentimento umano del giusto e dello sbagliato, del mio e del tuo. È sempre stato compito della Chiesa formulare i principi che governano quel sentimento e le regole che da essi derivano. È per questo che, nell’ordine economico e sociale, lo Stato ha bisogno della Chiesa. E siccome un uomo deve rivolgere le sue preghiere da qualche parte, foss’anche solo alla Dittatura del Proletariato, la sua condotta nello Stato sarà determinata da questo fatto. E anche qui c’è bisogno della Chiesa. Ma questa è un’altra storia.

Potrebbe valere la pena di suggerire che lo Stato provi—come mero espediente, si capisce—la graduale applicazione di qualcuno degli elementari principi cristiani riguardo alla giustizia sociale e agli affari, nell’affrontare la crisi attuale. Potrebbero essere un po’ più efficaci di conferenze che falliscono una dopo l’altra per la mancanza di principi elementari.

Cose da ricordare: il Muro di Berlino

Chi costruì il muro di Berlino?

Al limite del possibile

13 agosto 1961: fui svegliato fra le quattro e le cinque del mattino. Il treno elettorale partito da Norimberga aveva ap­pena raggiunto Hannover. Un funzionario delle ferrovie mi consegnò un messaggio urgente da Berlino. Mittente: Hein­rich Albertz, capo della cancelleria del senato. Contenuto: l’est chiude il confine del proprio settore. Mi si prega di tor­nare immediatamente.

All’aeroporto di Tempelhof mi accolsero Albertz e il capo della polizia Stumm. Andammo alla Potsdamer Platz e alla Porta di Brandeburgo e dappertutto vedemmo lo stesso scenario: muratori, ostacoli, pali di cemento, filo spinato, militari della DDR [Deutsche Demokratische Republik, Repubblica Democratica Tedesca]. Giunto al municipio di Schöneberg  ebbi informazioni secondo le quali le truppe sovietiche erano in stato d’allerta intorno alla città e Walter Ulbricht [Presidente del Consiglio di Stato della DDR] si era già congratulato con i reparti che avevano cominciato a costruire il muro.

— Willy Brandt, Memorie , cap. 1, pag. 7, Garzanti 1991

Il brano qui sopra è l’incipit delle memorie di Willy Brandt, uomo politico socialista che ha ricoperto molti incarichi, tra cui quello di Cancelliere della Repubblica Federale. Una piccola parte se ne può leggere qui, anche se non è integrale (gli omissis non sono segnalati, ma si trova tutto entro le prime cinque pagine).

Chi dunque costruì il muro di Berlino?

I comunisti, se dobbiamo credere a Willy Brandt… e ai milioni di altre persone che c’erano e lo ricordano.

Sarebbe facile fare i precisini e dire che furono “i comunisti della DDR”, ma Brandt aggiunge che

il comitato centrale della SED [Sozialistische Einhetspartei Deutschland, Partito di Unità Socialista di Germania, era il partito principale della DDR] aveva infatti comunicato che la chiusura di Berlino Est corrispondeva a una decisione concordata dai governi del patto di Varsavia. (ibidem, pag. 9)

Non furono solo i comunisti della DDR a sostenere la costruzione, insomma. Furono i comunisti, punto.

Gli alleati, presi alla sprovvista, non riuscirono a fare un bel niente.

Passarono venti ore prima che al cosiddetto confine interno della città si scorgessero le pattuglie dei militari alleati [che si trovavano già a Berlino Ovest, però, non dovettero arrivare da lontano]. Ne passarono quaranta prima che la nota di protesta fosse consegnata al comandante sovietico e settantadue prima che giungesse a Mosca; ormai suonava come un fatto scontato, di routine.

Nel frattempo furono versate molte lacrime. Nella mia circoscrizione elettorale di Wedding alcune persone si gettarono nei teloni tesi dai pompieri dalle case poste direttamente sul confine e non per tutti finì bene.

ibidem, pag. 9

I politici nipoti di quei comunisti, che oggi sono in massima parte nel PD, come hanno commemorato la caduta, trent’anni fa del muro costruito dai loro ascendenti politici? Chiedendo scusa, per esempio? Riconoscendo che il Muro (almeno quello) fu un atto vergognoso di inciviltà? Ma figuriamoci.

L’hanno commemorata con questa immagine, che io ho visto condivisa in Facebook:

L’hanno commemorata come se il muro fosse stato costruito non da coloro che li hanno preceduti e dei quali sono eredi, ma da qualcun altro, chiunque sia, che riconoscono come avversario oggi. Usano l’immagine del Muro per pomparsi con l’idea che loro combattono le ingiustizie e pensano forse che qualcuno ci creda.

A tal proposito, i popoli che stavano di là della Cortina di Ferro ebbero, curiosamente, un’altra impressione:

Anche questa immagine era condivisa in FB. La persona che l’ha pubblicata inizialmente, la commentava così:

I share this because Growing up I met a lot of older Latvians, Lithuanians, Estonians, Hungarians, Czechoslovakians, Bulgarians, Rumanians, and Polish who felt this way

(Questa la condivido perché, crescendo, ho incontrato un bel po’ di anziani lettoni, lituani, estoni, ungheresi, cecoslovacchi, bulgari, rumeni e polacchi che si erano sentiti così.)

Bisognerà che li seppelliamo con una risata, ma io sinceramente devo fare uno sforzo per ridere di tanta protervia. Mi ha fatto ridere, invece, il commento di un terzo amico che ricordava le parole di un noto esponente del PCI in merito alla caduta:

“Qui crolla un mondo, cambia la storia… ha vinto Hitler… Si realizza il suo disegno, dopo mezzo secolo”.
[A. Natta, 9 novembre 1989, dopo la caduta del muro di Berlino]

…quando i comunisti erano gente seria

“È caduto il Muro, ma è rimasto il comunismo”, di Aldo Vitale, TempiWeb 8 novembre 2019

(mi chiedo che avrebbe scritto se avesse visto quell’immagine…)

A quanto pare, poi, la cosa non ha allegato i denti solo a me:

“LETTURE/ Il Pd (ex Pci) e il “gioco di prestigio” del muro di Berlino”, di Gianfranco Lauretano, IlSussidiario.net 

Aggiornamento del 15 novembre. Affinché non rimanga dubbio sul fatto che quel modo di fare è sistematico dei “sinistri” (e direi che ormai è genetico, se pensassi che la genetica c’entra qualcosa), ecco due articoli sulla giornata con cui in Russia si commemorano le vittime delle repressioni politiche, soprattutto quelle di epoca sovietica. La cerimonia detta “Ritorno dei Nomi” fa parte di questa commemorazione.

“Dmitrij Val’dejt, io ti ricordo”, di Svetlana Panič, La Nuova Europa 30 ottobre 2019

“RUSSIA: La memoria della repressione sovietica di cui le autorità vorrebbero appropriarsi”, di Maria Baldovin, East Journal 29 ottobre 2018