Le fonti delle frasi: approfondire, non sfoggiare

Qualche giorno fa mi capita di vedere una citazione di Rilke sul rapporto tra uomo e donna. Un brano molto bello.

Poi, in un gruppo, una persona che conosce gli scritti di Rilke ci fa notare che quel modo di parlare non sembra di Rilke. È lo stesso “non mi sembra” che portò me a cercare le origini della frase su operai, artigiani e artisti attribuita a san Francesco, quindi lo prendo sul serio e mi metto a cercare.

Non trovando niente in italiano (vari lanci della frase, in blog e articoli, ma sempre e solo con l’attribuzione a Rilke o, al massimo, ad Anonimo), provo a prendere un pezzetto significativo e a cercarlo in inglese. Accade spesso, infatti, che una frase cominci a circolare in inglese e poi sia tradotta in altre lingue.

Funziona: trovo la fonte in inglese.

Misteriosamente, la fonte è un libro in italiano, solo che nella nostra lingua non lo hanno trovato né Bing né Google; questo ci dice qualcosa sui motori di ricerca, ma ora non ci interessa.

Ora mi interessa il fatto che in quel brano Rilke c’entra sì, ma non perché ne sia l’autore: solo una manciata di parole è opera sua e il testo originale riporta – come dovuto – virgolette e nota di attribuzione. Il resto del brano è opera di qualcun altro. Il poeta è il punto di partenza per descrivere un problema e accennare una soluzione.

Solo che il poeta è molto noto, l’ autore vero non lo è altrettanto.

Inoltre, è figo citare i poeti, può essere meno figo citare gli autori veri, specie quando sono poco conosciuti; o magari sono legati a qualcosa che non si gradisce.

Questo atteggiamento è antico, non è nuovo. A sant’Agostino nel Medioevo attribuivano di tutto, peggio che ad Einstein nel Novecento (Einstein non s’è mai sognato di dir niente circa le api, per esempio).

Sapere che la tale persona importante ha detto o fatto la tale cosa, magari normalissima, fa diventare interessante quella cosa.

Il problema, con questo atteggiamento, è l’intrinseca falsità.

La menzogna non porta niente di buono (ad esclusione delle menzogne salvavita, che però sono rare). Attribuire falsamente una frase vera, forse aiuta sul momento a farla circolare, nel passaparola o sui media, quando però si scopre che l’attribuzione è falsa, questo sminuisce la credibilità della frase. Può essere la frase più vera del mondo ma sarà macchiata dalla falsità per sempre.

Non è giusto che accada così, però accade così.

Credo che accada perché le persone non sono poi così abituate a cercare la verità, oggi come mille o tremila anni fa. Va bene, oggi le persone neanche credono che la verità esista (in ciò aiutate da tante stupide espressioni giornalistiche, come “la verità giudiziaria” o “ha raccontato la sua verità”; come se “verità” e “versione” coincidessero!) ma non è un buon motivo per darsi alla menzogna.

È fondamentale esigere o cercare le fonti vere delle frasi. Amare la verità più di sé stessi è anche questo.

Ma dubito che ormai siano in molti ad amare la verità più di sé stessi. Io, per esempio, molto spesso sto zitta anziché contrastare certe fandonie che sento, un po’ per quieto vivere, un po’ perché è diventato impossibile far comprendere la verità discutendo e comunque sono molto pigra e non mi piace discutere.

 

ANALISI

A) Il brano che circola in rete

Questo è il paradosso dell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti si incontrano con  due limiti; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno.

B) Il brano originale (la fonte in fondo all’articolo)

Rilke ha identificato con singolare efficacia il dramma del rapporto amoroso e intuito la necessità di una via d’uscita diversa da quella spirale [ossia cambiare partner perché si è rimasti delusi e avviarsi a una nuova delusione, come ha detto prima. N.d.R.]: questo è il paradosso dell’amore tra l’uomo e la donna, due infiniti «si incontrano con due limiti»[NOTA]; due bisogni infiniti di essere amati si incontrano con due fragili e limitate capacità di amare. E solo nell’orizzonte di un amore più grande non si consumano nella pretesa e non si rassegnano, ma camminano insieme verso una pienezza della quale l’altro è segno.

[NOTA] Cfr. R.M. Rilke, Quarta Elegia, vv. 11-20, in Elegie duinesi, op.cit. p. 23

*** L’opera citata è l’edizione Einaudi del 1978

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Ora, qui si vede bene che c’è un problema di punteggiatura – molto diffuso – e un problema di comprensione di ciò che si legge. C’è anche il problema dell’adeguamento meccanico a forme comunicative che tendono a semplificare un po’ troppo.

* Nel brano originale le parole altrui sono indicate chiaramente, dalle virgolette a caporale, mentre nel brano che circola su FB le virgolette sono sparite.

** A parte questo, una citazione del genere dovrebbe cominciare così:

[Q]uesto è il paradosso eccetera…

a indicare che, nel testo originario la parola “questo” non è la parola che inizia il brano. Forse sarebbe eccessivo per una citazione su Facebook… ma almeno diamo a Cesare quel che è di Cesare e mettiamo quelle virgolette!

*** Soprattutto, dovrebbe essere evidente che il brano in sé, come forma, NON è di Rilke: al poeta appartengono solo le parole tra virgolette a caporale. .

Qui sorge la domanda: il concetto è di Rilke o no?

Ebbene, le citazioni delle fonti servono a questo: per approfondire; non per fingere di essere colti. Peccato che l’edizione Einaudi del 1978 non sia reperibile in rete. La versione Feltrinelli è indigesta e non ci ho capito granché.

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FONTE

Il brano originale proviene dall’opera seguente:

J. Carrón, “«Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà»”, in La bellezza disarmata, Rizzoli 2015, pag. 278.

Il libro è una raccolta di interventi tenuti da don Carrón tra il 2005 e il 2015, appositamente rielaborati e sistemati. Ne consegue che molti possono aver sentito o letto quel brano prima che uscisse il libro. Data la rielaborazione, la provenienza dei testi non è indicata puntualmente.  

Adesso che si fa?

Premetto una cosa: io non sono né filo-russa né filo-ucraina, per usare il linguaggio un po’ scemo dei mass media. Penso che la Russia di Putin abbia una sola ragione valida e abbia torto marcio su tutto il resto, innanzitutto i mezzi con cui persegue (o finge di perseguire) la sua unica buona ragione. Penso che l’Ucraina abbia torto grave in un paio di questioni sostanziali e ragione da vendere su tutto il resto. Mi pare chiaro da che parte si debba stare.

Ciò premesso, ho ancora un po’ la speranza che l’avanzata si fermi una volta raggiunti i limiti reclamati dalle due repubbliche secessioniste, anche se non i crede più nessuno: il consenso in Russia per il riconoscimento delle repubbliche è appena sopra il 50%, dubito che sarà più gradita una guerra.

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Se però l’avanzata non si fermasse; se davvero scoppiasse una guerra – per far la guerra bisogna essere almeno in due e gli ucraini sono un popolo deciso, il presidente Zelenski ha già proposto di armare i civili – noi che faremo?

Dico “noi” ma non esiste, in realtà, un “noi”, perlomeno non ancora. Ci sono io che scrivo, ci sei tu che leggi, ci sono tutti quelli che stanno guardando la televisione o leggendo i giornali eccetera. Ognuno se ne sta per i fatti suoi, da spettatore. A me però da spettatrice piace guardare i cartoni animati, non le guerre.

Non m’importa del Parlamento italiano o di quello europeo, della Commissione europea o degli Stati Uniti o della Nato o del G7, tutti soggetti che hanno i loro interessi e scopi, non del tutto o sempre limpidi (anche la Nato: come diceva iersera il generale Petraeus al tg1, con la sua mossa Putin ha dato alla Nato una ragione di esistere).

Qui il punto siamo noi, soli o insieme, come in Russia il punto sono i russi. E da soli non si arriva lontano.

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In Russia, come dicevo, solo circa la metà della popolazione è d’accordo con Putin. Che faranno gli altri? Già ieri c’era stato qualche accenno di protesta contro il riconoscimento a Novosibirsk, San Pietroburgo e altre città (benedetta Asia News, altrimenti chi lo sapeva? Bisogna farli passare da cattivi, i russi…). Chissà, magari domani ci saranno altre manifestazioni. Me lo auguro, non è poco, un disaccordo di quasi il 50%.

E noi, che faremo? Sosterremo le proteste dei russi (oltre che i bisogni degli ucraini, ovvio) o ci faremo i fatterelli nostri, almeno finché non ci troveremo nella morsa del freddo il prossimo inverno?

Lontano lontano si fanno la guerra.
Il sangue degli altri si sparge per terra.
Io questa mattina mi sono ferito
a un gambo di rosa, pungendomi un dito.

Succhiando quel dito, pensavo alla guerra.
Oh povera gente, che triste è la terra!
Non posso giovare, non posso parlare,
non posso partire per cielo o per mare.

E se anche potessi, o genti indifese,
ho l’arabo nullo! Ho scarso l’inglese!
Potrei sotto il capo dei corpi riversi
posare un mio fitto volume di versi?

Non credo. Cessiamo la mesta ironia.
Mettiamo una maglia, che il sole va via.

Franco Fortini, “Lontano lontano”, 1991

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Fortini, da marxista, non mi avrebbe approvato ma io, da cattolica, intanto che aspetto gli sviluppi e cogito sul da farsi, pregherò ogni giorno i martiri russi del XX secolo, che aiutino la loro gente e noi a metterci in gioco per la verità e non semplicemente per il riscaldamento degli italiani, i club di Londongrad, i gasdotti di Germania e le belle figure dei presidenti USA dem.  

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Per capirne di più

VIDEO Putin invade l’Ucraina – Mappa Mundi edizione speciale con Lucio Caracciolo (giovedì 24 febbraio,ore 17:30)

Il problema non sono i dati, ma come li esponiamo

Nuova diatriba: dare ogni giorno i dati sulla pandemia Covid-19 o darli solo una volta alla settimana?

Ma… darli in maniera sensata e utile non conterebbe più che la periodicità? (Vale a dire, l’opposto di come si fa adesso.)

Temo che sia tutto meno che ovvio, anche a chi saprebbe come darli in maniera sensata e utile.

Questo nasce dal fatto che il detto rem tene, verba sequentur è normalmente non vero. Il vecchio snob lo diceva perché lui era in grado di farlo, ma il 99% delle persone non ne è capace per natura: avessero anche studiato decenni, non è minimamente scontato che sappiano raccontare le cose nel modo giusto perché il pubblico le intenda correttamente. Anni fa, una counsellor universitaria mi disse che questa idea “chi sa, sa anche raccontare” derivava dalla concezione gentiliana dell’università, ma non ho mai approfondito la questione.

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Tra chi è interessato a dare i numeri come che sia, altrimenti gli verrebbe meno la notizia di apertura, e chi è interessato ad averli, i numeri, ma non comprende che “averli” e “darli” sono due verbi diversi perché indicano due azioni diverse sostenute da competenze diverse, credo proprio che i telegiornali continueranno come prima.

BASTA REPORT COVID?/ “I dati aiutano, ma devono essere trasparenti e comprensibili”, Il Sussidiario, 14 gennaio 2022 – int. Cesare Cislaghi

In mezzo ci sono quelli che vedono il problema, ma non la soluzione, salvo cassare le soluzioni (giuste) altrui.

Stop al virus o stop ai dati?, Il Sussidiario, 14 gennaio 2022 – Giorgio Vittadini, Carlo Zocchetti

E poi ci siamo noi, che vediamo il problema ma non sappiamo bene che fare, e comunque non abbiamo i mezzi per fare alcunché; spesso non abbiamo neanche il mezzo principale per evitare il problema, ossia spegnere il televisore.

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La soluzione non sarebbe poi così difficile, in realtà.

Considerato che i dati di maggiore interesse, cioè i contagi e i morti, hanno uno sfasamento di circa tre settimane;

– considerato che i dati grezzi di un evento complesso non dicono niente a nessuno e quindi bisogna servirsi di tabelle e grafici e roba simile, che non si fa da sola ma richiede tempo;

– considerato che i dati giornalieri sono affetti da problemi particolari a seconda del giorno della settimana (il famoso dato del lunedì e del martedì di cui parla il prof. Cislaghi);

– considerato che la persona qualunque, priva di formazione medica o scientifica e occupata in altre faccende, non va a cercarsi i dati ma ascolta, più o meno passivamente, ciò che le raccontano i mezzi di comunicazione;

– considerato che è verissimo che la sovraesposizione a qualcosa – qualunque cosa – manda la gente fuori di cervello, mentre sapere quanti contagiati ci sono in tutta Italia non aiuta nessuno;

non c’è una soluzione.

Ce ne sono due, di soluzioni.

Il problema è se siano praticabili.

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Soluzione 1.

La prima soluzione consiste nel trasmettere serie di dati collegate tra loro: se c’è uno sfasamento di tre settimane tra contagio e ricovero (Cislaghi), oggi il tg mi deve dire i contagi di tre settimane fa e i ricoveri di oggi; altrimenti la mia impressione dell’andamento sarà sballata.

Oltre a questo, i dati non me li deve dire come notizia di apertura, che è una modalità ansiogena e anche una forma di pressione indegna di chi va sempre rivendicando la propria indipendenza.

I numero dei decessi, poi, ci interessa se vogliamo pregare per i defunti, ma in realtà persone diverse hanno diversa capacità di resistenza (a qualunque male) e la loro sopravvivenza dipende anche molto dalla capacità di chi le ha in cura, quindi non se ne può costruire una serie utile a livello quotidiano.

La soluzione 1 è difficilmente praticabile, perché i giornalisti opporrebbero resistenza. Anche a fornir loro le serie già pronte, già sento i cori di doglianza sulla lesa libertà d’informazione; e poi, come dicevo, i telegiornali perderebbero la notizia d’apertura.

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Soluzione 2.

La seconda soluzione è quella proposta già da tanti: i dati siano pure messi a disposizione quotidianamente, per chi ci deve lavorare e quindi è interessato ad andare a prenderli, ma per il grande pubblico facciamo un buon bollettino settimanale, dove mettere a confronto le serie di dati nella maniera giusta e spiegare anche qualcosa in più; e sempre mettere la legenda sul significato di sigle e siglette che vengono impiegate estensivamente.

Questa soluzione è più facilmente praticabile dell’altra, ma non sarà praticata.

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«Semmai, sempre per la Presidente AIE, [Associazione Italiana di Epidemiologia] si può discutere della modalità con cui viene effettuata la comunicazione, e cioè pur mantenendo giornaliera la messa a disposizione dei dati si può valutare se pubblicare un bollettino per il pubblico.»
— “Stop al virus o stop ai dati?”, di Vittadini e Zocchetti

Diamine, questo è il minimo sindacale di intelligenza della questione.

Non è invece intelligente – nel senso etimologico – chiedersi

«in un mondo aperto come quello di oggi […] dove tutti hanno potenzialmente accesso a tutto, ha senso distinguere tra ciò che può essere reso disponibile agli esperti e ciò che può essere reso disponibile al pubblico?» — ibidem 

perché qui non si tratta di “potere” qualcosa.

Non ho detto che sui dati giornalieri si debba mettere una password, né l’ha detto la presidente dell’AIE, se le sue parole sono riportate bene: in ogni caso, io ho detto che i dati giornalieri devono essere a disposizione di chi li voglia o li debba avere, ma questo soggetto di sicuro non è il grande pubblico. Personalmente, non andrei a cercare simili dati neanche se mi pagassero per farlo.

Concordo: per noi del grande pubblico sarebbe molto più utile un bollettino ragionato, rispetto ai numeri sciorinati come si fa ora.

Non è vero che uno si angoscia di più se non ha i dati tutti i giorni, come pensa qualcuno.

L’angoscia deriva dal non sapere, e questo è vero; se però uno è ben certo che la domenica (per dire) potrà sapere ciò che desidera, non si angoscia; salvo casi patologici, che sono eccezioni e non andrebbero mai presi come regola e modello.

Quegli eretici dei no-vax

Un effetto inaspettato della pandemia da coronavirus è che possiamo servirci di quel che viviamo nel presente per afferrare un po’ meglio un aspetto del passato che normalmente è difficile da comprendere: il trattamento riservato agli eretici.

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Chi sono gli eretici?

Chesterton scrisse una volta che considerava gli eretici come persone «la cui visione delle cose ha ha l’ardire di esser diversa dalla mia» (G.K. Chesterton, Eretici, capitolo I). [1]

Diciamo che questo è un significato molto esteso. Propriamente un eretico è qualcuno la cui visione delle cose ha l’ardire di esser diversa dalla visione delle cose che l’autorità riconosce come vera e buona e giusta per tutti. Continua a leggere “Quegli eretici dei no-vax”

Prepariamoci perché la Cina (metafora) è vicina

Questo post non c’entra con le parole;
ma le parole c’entrano con tutto,
poiché non siamo scimmie, da esprimerci a gesti e versi. 

Non ho mai avuto niente contro i cinesi; anzi, apprezzo molte cose che provengono da quel popolo. Per questo tengo a precisare che nel mio titolo la Cina è una metafora.

Per me, è una metafora.

Disgraziatamente per alcuni altri è una realtà da prendere a modello mentre per altri ancora è un vicino opprimente. In entrambi i casi, va detto, non si tratta effettivamente della Cina, si tratta dell’attuale regime cinese.

Che dovrei pensare? In tre giorni mi è capitato di leggere le frasi che seguono, in tre articoli diversi; e forse altri avranno espresso pareri simili, che non mi è capitato di leggere. Continua a leggere “Prepariamoci perché la Cina (metafora) è vicina”