In evidenza

(questo è un post fisso,
i nuovi articoli sono più in basso)

AVSI
Emergenza Ucraina. #HelpUkraine

Per un aiuto più duraturo:

HelpUkraine Point

Per tutti:

Coro dell’Università Statale di San Pietroburgo (in vacanza)

.

Bogoróditse Diévo, rádujsja,
Blagodátnaja Maríe, Gospód s tobóju.
Blagosloviéna ty v zhenákh,
i blagoslovién plod chriéva tvoievó,
jáko Spása rodilá iesí dush náshikh.

[Vergine Madre di Dio, rallegrati, / Maria piena di grazia, il Signore (è) con te. / Benedetta tu fra tutte le donne, / e benedetto il frutto del grembo tuo, / poiché hai generato il Salvatore delle nostre anime.]

In evidenza

Parole su parole

(questo è un post fisso,
i nuovi articoli sono più in basso)

Le parole sono suoni per coloro che non s’impegnano; sono il nome di esperienze per chi le vive.
— L. Giussani, Esercizi incaricati, Gressoney St. Jean, 06-08/12/1959 – incontro del giorno 7

***

Uno scrittore leale in ogni frase che scrive si farà perlomeno quattro domande, così:
1. Che cosa sto cercando di dire?
2. Con quali parole lo esprimerò?
3. Quale immagine o modo di dire lo renderà più chiaro?
4. Questa immagine è abbastanza fresca da avere un qualche effetto?
E probabilmente se ne porrà altre due:
5. Potrei dirlo più brevemente?
6. Ho scritto qualcosa di bruttezza non necessaria?

—George Orwell, La politica e la lingua inglese, mia traduzione

***

Non si legge mai lealmente se, in qualche modo, l’autore dello scritto non è presente e tu, leggendo, è come se gli domandassi: “Cosa vuoi dire? che ragioni hai?”. Non è mai viva lettura se non è potenziale dialogo.
—L. Giussani, Si può (veramente?!) vivere così?

***

Il leggere è un conversare, che si fa con chi scrisse.
—Giacomo Leopardi, in Operette morali, “Detti memorabili di Filippo Ottonieri”

***

Continua a leggere “Parole su parole”

Dati, percezioni e cambiamenti del clima

Il 30 aprile 2024 leggo in Facebook un post che contiene un errore talmente sottile da essere per molti impercettibile; non sono nemmeno sicura di riuscire a esporlo come si deve. Eppure è un errore grave.

Il post è questo:

IMG dati cambiamento climatico

Ne riporto il testo per comodità, ma l’immagine è fondamentale.

Andamento dell’anomalia della temperatura media giornaliera dall’inizio dell’anno, ottenuta con i dati registrati dalla mia stazione meteo. Sapete qual è la domanda che mi pongo? Quanto tempo dovrà passare per avere una fase con temperatura sottomedia con un’intensità pari a quella che si è appena conclusa? E sapete perché è questa la domanda? Perché periodi più freddi della norma di tale portata sono gli unici capaci di attenuare le anomalie positive, i cui picchi sembrano rincorrersi.

Crediamo che faccia freddo quando appena si rientra nelle medie del periodo, pensiamo che il caldo anomalo sia normale perché non lo percepiamo come tale e quando si presenta una fase fredda allora il riscaldamento globale non esiste. Diamo importanza alle sensazioni e ragioniamo con la pancia. I dati, intanto, continuano a tracciare la strada per chi ha voglia di capire e di riflettere.

 .

La prima parte del testo è impeccabile. Impeccabile. Per compensare quei picchi di calore ci vorrebbero altrettanti picchi di freddo e invece non ce ne sono. Perciò si parla di “riscaldamento globale”: perché quello è. Le cause sono un’altra faccenda, il riscaldamento è lì e non c’è da discutere. 

L’errore arriva nel secondo periodo di quel testo ed è grave soprattutto per il pensiero comune, non tanto per chi si occupa di scienza. La cosa più grave è che non viene avvertito come errore. Per questo motivo, poi, di errore ne genera un altro.

Vediamo il primo dei due.

«Crediamo che faccia freddo quando appena si rientra nelle medie del periodo, pensiamo che il caldo anomalo sia normale perché non lo percepiamo come tale»

L’errore consiste nel pensare che le nostre percezioni soggettive non siano dati. Invece lo sono. Mi era già capitato di scriverne

Ricordando che la percezione è un’esperienza fisica e non mentale (anche se adesso va di moda usare “percezione” al posto di “impressione”), bisogna ammettere che non ce le diamo da soli, le percezioni: esse ci sono date dalla realtà in cui siamo immersi.

I dati si chiamano così perché sono “dati”, participio passato del verbo “dare”. Non li stabiliamo noi, non li decidiamo noi: sono lì… tanto che rimangono “dati” anche per gli atei, i quali non riconoscono nessuno che ce li abbia messi.  

Se una persona sente freddo con temperature che rientrano «nelle medie del periodo» è perché il suo corpo avverte uno squilibrio, magari improvviso, tra le temperature di oggi e quelle che c’erano fino a ieri, durate tutto l’inverno perché El Niño era di nuovo in giro (anche se i media si sono ben guardati dal parlare). Il corpo non ha avuto tempo di abituarsi e sente la differenza in maniera più drammatica del dovuto. Anche questo è un dato, non è una fantasia. Non solo: esso ha ricadute molto più concrete rispetto alle misure, che sono convenzioni. Se ho freddo, cerco un maglione, non è che metto la camicetta di lino perché va d’accordo con le medie del periodo. Il fatto di avvertire freddo è un dato e ha delle ricadute oggettive sulla realtà, anche se lo avverto in maniera soggettiva.

.

Qualcuno dirà: Ma non si può costruire un modello scientifico sulle percezioni soggettive.

Verissimo. Per questo abbiamo inventato convenzioni come la scala di temperatura. La vita però non è costituita di modelli scientifici, che sono solo uno strumento per un determinato scopo; inoltre, le convenzioni arrivano fin dove arrivano, ma questo bisogna che lo spieghi con un esempio più terra-terra (letteralmente).

.

Nel Catasto agricolo e nei rilevamenti aerei, si usa misurare la superficie dei campi come proiezione al suolo dei limiti oggettivi del campo: siepi, fossi, recinzioni e così via. La proiezione al suolo è analoga all’ombra che si proietta a terra se metto un oggetto qualunque sotto una luce. Si decise di fare così per poter avere una base su cui calcolare le tasse (i catasti servono a questo) e i contributi PAC.  

Ora, nella mia azienda c’è il campo che vedete in foto, quello a forma di rombo indicato dalla freccia rossa. Non so quanto si riesca a notare ma quel campo è bombato come un paraurti.

Pascolo Grande e Campo Lungo

Campo Lungo e Pascolo Grande, febbraio 2o24 

Se mettiamo un paraurti sotto una luce, l’ombra proiettata al suolo ha un’area minore della superficie effettiva del paraurti. Una prova facile, se siete del tipo sperimentale, consiste nel prendere una striscia di cartone, tenerla in mano sotto una luce in modo che sia curva e misurare la lunghezza dell’ombra. La lunghezza dell’ombra sarà minore della lunghezza della striscia, proprio perché essa è tenuta curva sotto i raggi. Ecco, la proiezione al suolo funziona allo stesso modo.

A misurarlo sulla foto, il mio campo misura un po’ meno di quattro ettari. Siccome però ci ho camminato sopra più di una volta, so benissimo che esso è più di quel che sembri in foto. Lo so innanzitutto con le gambe, non con le convenzioni tecnico-scientifiche. Chi lo ha lavorato, idem, lo ha capito con tutto il corpo, al di là dell’attrezzatura che misura le distanze (che peraltro su quel trattore non c’era).

Se avessi acquistato semente per meno di quattro ettari, cioè secondo la misura aerea, un pezzo di campo sarebbe rimasto nudo. Ne ho invece acquistata per cinque ettari ed era la quantità giusta.

Qualunque amministrazione tuttavia riconoscerà quel campo per un po’ meno di quattro ettari. È una convenzione comoda per tanti versi, ma NON quando bisogna calcolare la semente, perché la relazione tra semente e superficie è concreta, non è convenzionale. La convenzione arriva fin dove arriva, ma io devo spingermi oltre, almeno ogni tanto [1]

.

Ecco perché quell’errore è un errore: perché distrugge una certa relazione tra persona e realtà, dando importanza ai dati che rientrano in una convenzione e ignorando – o perfino irridendo – i dati che non vi rientrano. In questo modo si rende astratta la scienza, provocando a volte una reazione uguale e contraria (“La scienza è astratta, perché dovrei crederci? Preferisco credere a quel che mi garba”). 

Per questo motivo, il primo errore genera un secondo errore, ben illustrato dalla conclusione del periodo:

…. e quando si presenta una fase fredda allora il riscaldamento globale non esiste. Diamo importanza alle sensazioni e ragioniamo con la pancia. I dati, intanto, continuano a tracciare la strada per chi ha voglia di capire e di riflettere.

.

Questo particolare genere di spocchia (“ragioniamo con la pancia”, “chi ha voglia di….”) si chiamerebbe con più precisione SDV, Sindrome del Detentore di Verità. Si avverte il dolore di chi ha delle conoscenze oggettive e non riesce a convincere le persone della loro verità. Solo che l’atteggiamento è sbagliato: con quel piglio non sarà mai possibile convincere nessuno. 

E, terzo errore, con quel piglio non si aiuta una società ad affrontare i cambiamenti che ha davanti.

Se tutti quelli che capiscono qualcosa di qualcosa trattano gli altri da “popolo bue”, non solo si condannano a una frustrazione perenne (da cui la SDV) ma le loro conoscenze non servono a niente e a nessuno. 

 

**********

[1] Quando si cominciò a usare le foto aeree, nei primi anni Duemila, gli agricoltori erano elettrizzati nel vedere i loro campi dall’alto. Quando però cominciammo a misurare le superfici con le foto aeree, tutti quelli che avevano dei terreni in pendenza, misurati da agronomi e geometri, scoprirono di avere meno terra di quanto pensassero e cominciarono le beghe. In realtà non è che ne avessero di meno, le misure dei professionisti erano corrette; ma la convenzione che si era deciso di impiegare per calcolare i nuovo contributi per il sostegno al reddito (2005) prevedeva che, per comodità dell’amministrazione, data la mole di dati, si usassero le foto aeree e quindi le proiezioni delle superfici. Solo che ci è voluto un po’ per farlo accettare. Io comunque il contoterzista l’ho pagato per cinque ettari, così come ho preso semente per cinque ettari. In genere la convenzione si riflette anche sulle tariffe dei lavori (più è scomodo, più paghi), ma il Pascolo Grande è un caso speciale che meritava un trattamento speciale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anti che?

Se veramente metà della popolazione italiana pensa che DIRSI “antifascista” equivalga ad ESSERE “anti-totalitario” o semplicemente “anti-dittature”, abbiamo un grosso problema.

Io non ho mai sopportato la subcultura post-fascista, ossia quella che era rimasta in tante persone dopo la fine del fascismo, per cui bisognava obbedire “perché sì”, “gli italiani non sono adatti alla democrazia” eccetera. Siccome però non ho mai sopportato neanche la subcultura filo-sovietica e tantomeno quella post-marxista, che oggi ammorba un po’ tutti, di definirmi “antifascista” non ho mai sentito il bisogno.

Né lo sento adesso.

Troverei, anzi, limitativo definirmi “anti” qualcosa, specie se dev’essere una cosa sola.

Così, non mi definisco antifascista, perché la mia persona non consiste di questo.

Ciò non vuol dire che non lo sia, perché sono antifascista tanto quanto sono anticomunista, antinazista, antisovietica, antioligarchica, antimonopolista… e vuol dire tutto e niente, perché poi bisogna vedere la pratica delle cose.

(Se proprio dovessi scegliere una sola parola per definirmi, ne sceglierei una che racconti un’esperienza: e sarebbe “cattolica”. Ma sembra non entrarci niente, vero?)

Questa bega sul definirsi o meno “antifascista” è solo l’ennesima manifestazione del nominalismo della… cultura sinistra, quella che permea tanti italiani, non tutti di sinistra.

Per “nominalismo” intendo il singolare atteggiamento che fa coincidere l’esperienza con la parola. È una patologia del pensiero, per dirla in maniera pomposa.

Le parole infatti sono i nomi di esperienze, non sono le esperienze stesse. In questo, aveva ragione Shakespeare.

Esempio: se dico “cacciavite”, non mi compare in mano un cacciavite, fin qui concordiamo tutti; se poi addito una rosa e la chiamo “cacciavite”, qualcuno mi porta dal dottore per controllare che non abbia avuto un ictus.

I nominalisti, invece, si aspettano che chiamare “cacciavite” una rosa la trasformi veramente in un cacciavite; si aspettano che il suono della parola generi la realtà che vorrebbero. È una sorta di pensiero magico, una specie di superstizione, adatta a chi nella vita non agisce, ma pensa soltanto.  E parla.

Non è dicendo, per esempio, “sono contrario alla violenza sulle donne” che certi mariti smettono di picchiare le mogli. Invece i “culturalsinistri” pensano di sì, perciò moltiplicano le geremiadi e le istanze e i proclami e le manifestazioni anche quando è chiaro che non cambiano niente; o magari provocano l’effetto contrario, cioè di svilire il problema (accade con qualunque problema, non solo con questo).

Se invece, senza troppe parole, uno va dal vicino di casa che picchia la moglie e gli fa capire che rischia grosso se ci riprova, be’, magari cambia qualcosa. O magari no, ma perlomeno ci avrà provato!

Ecco dunque che definirsi o meno “antifascista” non significa niente.

Non bisogna neanche scomodare il fatto che il fascismo, come esperienza storica, è morto e sepolto e non potrà mai più ripresentarsi in quella forma.

Anzi: si capisce meglio l’insignificanza se consideriamo che oggi viene definita “fascista” qualunque forma di imposizione o di dittatura.

Putin è detto “fascista”, la giunta militare che ha fatto il colpo di Stato in Birmania è definita “fascista”: ma sono tutti comunisti e post-sovietici, costoro.

E non vedo nessun “antifascista” che si adoperi per contrastarli, foss’anche solo a parole.

Prezzi

Categoria: economia, agricoltura… ma sempre in italiano

Esistono due equivoci relativi ai prezzi agricoli. Uno colpisce tutti, l’altro colpisce soprattutto chi acquista i prodotti agricoli nei negozi.

Vediamo prima quest’ultimo, che è la teoria di base. Se non si capisce questo, si fanno solo chiacchiere. .

Mi è capitato di sentire in tv una signora che, intervistata in un supermercato, diceva più o meno: “Certo che di questo prezzo all’agricoltore non gli arriva quasi niente”.

Questo è vero; ma il fatto che all’agricoltore arrivi una piccola parte di quel prezzo non significa per forza che ci sia della speculazione, come molti sembrano credere.

(Magari fosse solo speculazione. Purtroppo il problema è più grave di così.)

.

Innanzitutto bisogna sapere da che cosa è costituito un prezzo o costo che dir si voglia. Propriamente, il prezzo è il valore assegnato a qualcosa che si vuol vendere; il costo è quella medesima cifra per chi la paga, ovviamente dopo averla pagata.

In agricoltura o artigianato o manifattura, nessuno si alza una mattina dicendo: “Oggi le rape – o i fazzoletti o i bulloni – le vendo al prezzo x”.  Questo si potrà fare coi rubini e le statue ma non con le rape o i bulloni.

Il prezzo o costo di qualunque bene che non sia una rarità è costituito dalla somma dei costi di quattro categorie che sono necessarie per ottenere quel bene:

* le strutture (dove entrano tutti i capitali, le macchine, gli edifici, perfino gli animali),

* l’energia,

* il lavoro

* e le tasse (imposte, tasse e contributi).

Questo schema – che non è quello canonico, l’ho elaborato io per comodità – è lo stesso in ogni tipo di produzione, anche nell’estrazione dei rubini o nello scolpire una statua. In questi due casi, è la rarità che consente di fissare i prezzi come ci pare, non il resto.

.

Per un dato prodotto, ogni azienda ha dei costi fissi, relativi al mero fatto di esistere e operare, e dei costi variabili relativi al prodotto specifico. Il prezzo di vendita di un prodotto deve almeno coprire questi costi. La copertura di questi costi è proprio il minimo che si può chiedere.

Poniamo che l’agricoltore abbia, per un chilo di cavolo nero, costi fissi pari a 0,85 e costi variabili pari a 0,15: la sua somma di costi sarà pari a 1 per un chilo di cavolo nero.

Se qualcuno, diciamo un’impiegata madre di famiglia, si reca in azienda a comprare un chilo di cavolo nero dall’agricoltore, paga 1.

Se però l’impiegata va a comprare il cavolo nero dal fruttivendolo, quel cavolo nero avrà subito alcuni passaggi che ne avranno fatto aumentare il prezzo.

.

I. Dall’azienda agricola il cavolo sarà andato a un grossista.

Il grossista, proprio come l’agricoltore, ha delle strutture, impiega energia, lavora e fa lavorare altri e paga le tasse. Diciamo che il grossista abbia una propria somma di costi pari a 1 e che abbia pagato 1 all’agricoltore, per un chilo di cavolo nero. Ora quel chilo di cavolo nero è arrivato a costare 2.

Se l’impiegata si recasse dal grossista, pagherebbe 2 per lo stesso chilo di cavolo nero. Ma questo di solito l’impiegata non lo può fare, quindi c’è un passaggio ulteriore.

II. Dal grossista, il cavolo nero va al dettagliante (ossia il fruttivendolo).

Poniamo che il dettagliante, trovandosi in condizioni simili al grossista, abbia una propria somma di costi pari a 1 e che abbia pagato 2 al grossista per un chilo di cavolo nero. Ora il cavolo è arrivato a costare 3.

L’impiegata va in negozio e paga il triplo per lo stesso chilo di cavolo nero, rispetto a quanto lo pagherebbe in azienda.

Ha però la possibilità di poter “passare al volo” al negozio per fare la spesa, quando esce dall’ufficio, senza doverci andare apposta; di non impiegare tempo e carburante per recarsi in azienda; di trovare vari altri beni, insieme al cavolo, il che le fa risparmiare tempo; di poter mettere insieme una serie di altre incombenze da svolgere sulla via di casa, oltre a comprare quel cavolo nero.

Insomma, avere il fruttivendolo sulla strada dall’ufficio a casa è comodo perché fa risparmiare tempo.

E la comodità costa.

È questo che paghiamo, quando andiamo in negozio anziché in azienda: la comodità (intesa come risparmio di tempo, essenzialmente) e i costi degli intermediari.

.

La causa per cui i prezzi in negozio sono più alti che in azienda è la natura stessa degli scambi di mercato.

Le strutture costano, il lavoro costa, l’energia costa e le tasse costano.

Più passaggi ci sono, più costi ci sono: e si scaricano tutti sull’ultimo acquirente; che paga la comodità di acquistare verdura fresca vicino a casa.

Come mai, allora, se la natura del mercato è questa, ci sono così tanti problemi da avere indotto tanti agricoltori a bruciare costosissimo gasolio per invadere le strade e le città?

.

Ci sono, come si può intuire, dei problemi contingenti. Se il costo dell’energia aumenta, è ovvio che aumenteranno i costi per ogni passaggio e quindi aumenterà il prezzo finale.

Gli agricoltori, però, si lamentano che i prezzi ottenuti non coprono i costi di produzione. Nel frattempo i supermercati fanno i “sottocosto”.

Com’è possibile? Qualcosa non funziona.

E siamo arrivati al primo equivoco, quello che colpisce tutti.

Nel 1999 cominciai a lavorare per Confagricoltura e già allora si diceva: Produciamo con i prezzi dell’industria e vendiamo con i prezzi dell’agricoltura.

Prima ancora, all’università, quando studiavo per l’esame di Estimo & Contabilità e facevo i nostri bilanci aziendali, avevo scoperto che i coltivatori diretti (come mio padre) praticamente lavoravano gratis. Le aziende a conduzione diretta come la nostra avevano tutte i bilanci in rosso; era la normalità, mi disse il docente dopo il terzo bilancio negativo, non ero io che avevo la testa di legno.

Era “la normalità” nel 1995 o giù di lì.

Si capisce dunque che il problema non è il Covid, non sono le guerre a oriente, non è il canale di Suez.

Il problema è molto più vecchio e sta nell’avere snaturato il mercato, riducendo le opportunità e le strutture di vendita diretta per dare spazio a un altro modello, quello della grande distribuzione, via via più “globale”.

Visto che c’ero, posso anche testimoniare che il problema è cominciato negli anni Settanta… ma per oggi basta.

Pedanti

Circa cento anni fa, G.K. Chesterton parlava spesso, nei suoi articoli, di prigs (al singolare prig), che si può tradurre con vari termini, correlati ma non sinonimi: moralista, bacchettone, benpensante e anche pedante, nel senso di una persona che vuol fare la lezione a tutti, imponendo una correttezza formale basata su piccolezze.

 

Io perlopiù traduco prig proprio col termine “pedante”.

Perché lo faccio?

Perché ciò che ho descritto sopra è l’idea che GKC aveva del termine prig. Noi oggi limitiamo l’uso di “pedante” a quelli che sono puntigliosi sulle parole, ma questo è un significato ristretto.  

 

Tenderei a usare “benpensante”. In effetti, però, non posso usarlo se non di rado, perché spesso le persone che sono prigs pretendono di essere anticonformiste e quindi non “benpensanti”, che è riservato ai conformisti. Anche se io ho capito a sedici anni che l’anticonformismo è una forma di conformismo, la maggior parte del pubblico non lo ha capito – specie chi si picca di anticonformismo, cioè il 90% delle persone – e io ho il dovere di farmi capire da tutti. (Altrimenti non scriverei. Non sono una romanziera, quando scrivo sono una divulgatrice.)

 

Non posso usare “moralista”, se non di rado, perché tutti i moralisti lì fuori pensano di non esserlo e quindi non mi capirebbero.

 

Non posso usare “bacchettone”, praticamente mai, perché è legato alla religione e noi viviamo in un mondo di liberi-pensatori; il particolare che i loro pensieri siano in giro da migliaia di anni e che quindi non siano né originali né, probabilmente, segno di libertà, a costoro sfugge totalmente, quindi non mi capirebbero.

 

Così, mi servo del termine “pedante”, sperando che qualcuno vada a leggersi il vocabolario.

Ma ora mi chiedo: basterà?

Il vocabolario basterà?

 

Mi sembra che i pedanti siano incapaci di riconoscersi, esattamente come i moralisti, i benpensanti e i bacchettoni. Fortunatamente, sono un po’ meno diffusi, quindi potrei contare sul fatto che i non-pedanti comprendano il termine correttamente.

 

Solo che i social network ormai fanno fiorire i pedanti in una maniera mai vista prima.

 

A parte episodi accaduti a me, basta pensare alla vicenda della signora Giovanna Pedretti, ristoratrice, che si è uccisa, pare, dopo aver subito molti attacchi sui social network perché avrebbe mentito su una recensione. Che riposi in pace.

 

In un mondo in cui ogni giorno ci propinano ORE di spot pubblicitari che sono roba finta per principio e natura, insinuare dei dubbi sul post della signora è stata proprio un’azione da prig, da pedante: nel senso uno che vuol fare la lezione a qualcun altro, imponendo una correttezza formale basata su una piccolezza.

 

Ma colui da cui tutto è partito, lo sa, di essere un pedante? Io dico di no.

 

Il tizio che ha lanciato il “caso”

non è un giornalista,

non è un poliziotto,

non è uno scrittore,

non è un dipendente della piattaforma su cui è comparsa la recensione:

è un CUOCO.

 

Non erano affari suoi, se la recensione era finta; non erano strettamente affari suoi se la signora voleva farsi pubblicità mentendo; e non era il suo lavoro indagare su una cosa del genere.

 

E in effetti, bisogna dirlo, non ha indagato: ha proceduto a puntare il dito. Sembra addirittura che abbia minacciato la signora di denunciarla ai Carabinieri!

Perché?

 

Escludendo che volesse lui stesso farsi pubblicità, l’ha fatto per PEDANTERIA.

Ma lo sa? Io dico di no.

L’uomo si è comportato peggio della tipica zitella che va correggendo gli strafalcioni dell’utente medio di Facebook, ossia colei a cui tutti pensiamo sentendo il termine “pedante” (anche se molti lo sostituiscono con “grammarnazi”, perché la mamma degli ignoranti è sempre incinta anche lei).

Però non ne ha idea, magari gli sembra perfino di aver fatto qualcosa per migliorare il mondo; proprio come sembra alla zitella.

E nessuno glielo dice.

Un tale che non aveva alcun titolo a farlo si è impancato a giudice, oltretutto giudicando di una piccolezza perfino irrilevante, e NESSUNO gli dice: Ma chi ti credi di essere?

 

Così, i pedanti si avviano ad essere diffusi quanto i benpensanti e i moralisti; e altrettanto inconsapevoli.

In questa notte splendida

Lista dei canti

Buon Natale.

In questa notte splendida
(Claudio Chieffo)

In questa notte splendida di luce e di chiaror
il nostro cuore trepida: è nato il Salvator!
Un bimbo piccolissimo le porte ci aprirà
del cielo dell’Altissimo nella Sua Verità.

Svegliatevi dal sonno, correte coi pastor:
è notte di miracoli di grazia e di stupor!
Asciuga le tue lacrime, non piangere perché
Gesù nostro carissimo è nato anche per te.

In questa notte limpida di gloria e di splendor
il nostro cuore trepida: è nato il Salvator!
Gesù nostro carissimo le porte ci aprirà,
il Figlio dell’Altissimo con noi sempre sarà!