Elementi di distributismo: la società distributista

Mia traduzione dell’articolo Distributism Basics: Distributist Economic Society, di David Cooney, 28 gennaio 2014. Anche le note sono mie. 

Versione pdf: Cooney, David (2013), Elementi di distributismo 6_la società distributista  

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Elementi di distributismo: la società distributista

di David Cooney, 28 gennaio 2014

 

Nell’introduzione a questa serie di articoli, dichiarai che il distributismo non è una via di mezzo tra il capitalismo da un lato e il socialismo dall’altro. Il distributismo non è un tentativo di compromesso tra queste due posizioni. Al contrario, il distributismo sta da tutta un’altra parte rispetto a quei sistemi. L’obiettivo del distributismo non è quello di trovare un terreno comune tra i due ma di stabilire qualcosa di interamente differente ed estraneo ad entrambi.

Ci sono due cose da puntualizzare all’inizio di quest’ultimo articolo della serie. La prima è riconoscere che il capitalismo potrebbe essere realizzato in una maniera equa. Io affermo che la proprietà privata è un diritto fondamentale e asserisco che, come la libertà personale è meglio garantita quando include la libertà economica, la libertà economica è meglio garantita se in una società la proprietà della maggior parte dei mezzi di produzione è distribuita tra quanti più possibile dei suoi cittadini. Devo però riconoscere che potrebbe essere un sistema giusto, una forma di capitalismo che accettasse il fatto che l’economia è un settore di un sistema etico che riconosce, nella società, la preminenza delle persone sul guadagno monetario o materiale. Avrebbe quantomeno il potenziale per essere un sistema con pochi spazi per il lamento. Il problema principale del capitalismo è che la sua base filosofica è essenzialmente una visione utilitaristica, la quale consente di separare l’economia dall’etica e, per l’uomo comune, può essere fonte di gravi ingiustizie.

Il capitalismo keynesiano tenta di correggere queste ingiustizie dando maggiore autorità ai governi per aiutare i poveri a spese dei ricchi, nel contempo lasciando quanto più possibile intatto il sistema economico capitalistico. Questo si traduce in uno stato sempre più autoritario che è “compravenduto” dai ricchi, i quali usano i poteri di governo per portare avanti i propri interessi perfino più che i capitalisti originari. Allo stesso tempo, il governo stabilisce programmi per aiutare i poveri ma anche sovvenziona le grandi imprese e sforna leggi secondo i desideri delle grandi imprese addirittura a spese dell’uomo comune. Alla fine, il capitalismo keynesiano ci conduce evidentemente su una strada che porta o al socialismo o allo stato servile descritto da Hilaire Belloc.

La seconda cosa da dire è che il socialismo, malgrado il suo nobile intento di alleviare le ingiustizie che le classi lavoratrici soffrivano sotto il capitalismo, crea inevitabilmente una società perfino più ingiusta negando il diritto alla proprietà privata dei mezzi di produzione e ribaltando la struttura politica della società, consentendo allo stato di interferire con il lavoro interno agli ordini di comunità inferiori, fino al punto di interferire con il cuore stesso della società: la famiglia. Esso stabilisce immancabilmente uno stato totalitario e semplicemente trasferisce l’ingiusto potere economico dei ricchi nelle mani di una struttura statale già iniqua di suo.

La base per affermare che il distributismo sta da una parte mentre capitalismo e socialismo stanno dall’altra è che sia il capitalismo sia il socialismo conducono e consolidano la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione nelle mani di una piccola minoranza di cittadini. Pur dovendo ammettere che il capitalismo non richiede il consolidamento del possesso dei mezzi di produzione,[1] accettare tale consolidamento è necessario per accettare il capitalismo, perché esso è un risultato naturale di ciò che i capitalisti chiamano concorrenza sul libero mercato. Qualcuno potrebbe replicare che nel socialismo non c’è consolidamento del possesso perché esso appartiene ai cittadini. Tuttavia, senza la capacità di effettivamente predisporre l’uso dei mezzi di produzione, non si può dire di avere realmente il possesso. Così, il possesso dei mezzi di produzione nel socialismo è, se vogliamo essere realistici, concentrata nelle mani dei funzionari statali. Mentre nel socialismo coloro che controllano la stragrande maggioranza del potere economico sono gli stessi che detengono il potere politico, l’esito finale del capitalismo è che coloro che controllano la stragrande maggioranza del potere economico usano questo stesso potere per esercitare un controllo su coloro che detengono il potere politico.

L’obiettivo del distributismo è di stabilire una maggior distribuzione sia del potere economico sia di quello politico. Come ho detto altrove, questo non è solo “un progetto nuovo”. È una visione filosofica completamente differente delle relazioni tra l’economia e le persone e anche tra la società e le persone. Per questo motivo, lo spostamento dal tipo di società economica e politica che abbiamo ora verso la visione distributista sarà inevitabilmente graduale man mano che (si può sperare) più e più persone accetteranno questo modo di vedere. Non comincerà dai vertici della società, dovrà partire dalle persone alle “radici” della società, che faranno cambiamenti a livello personale e poi eserciteranno pressione sui livelli superiori della società perché assecondino ciò che loro desiderano per il bene comune. Questo dovrebbe essere naturale, poiché i livelli superiori della società esistono per servire gli inferiori.

Nell’articolo sul ruolo e la natura del governo, ho spiegato come l’autorità nel governo civile si strutturi secondo il principio di sussidiarietà. Lo stesso principio si applica all’autorità in una società economica distributista. La funzione principale dell’economia – che significa “gestione della propria casa” – è di provvedere ai bisogni della famiglia. Anche se la maggior parte dell’attività economica appare sostenere solo indirettamente i bisogni della famiglia, soddisfare tali bisogni è il fondamento di base senza il quale non ci sarebbe attività economica. Se tu non avessi bisogno di assicurarti il cibo, non andresti a comprarlo. Se non dovessi guadagnarti un reddito con cui acquistare le cose che ti servono e che vuoi da altri, non avresti bisogno di lavorare per guadagnare quel reddito. Che si tratti di commercio internazionale, di commercio tra gli stati di una federazione o di un impero, o tra regioni o contee o simili, o di un commercio locale tra le aziende di una piccola comunità, tutta l’attivi­tà economica in fin dei conti ha luogo affinché gli individui possano provvedere ai bisogni e alle esigenze delle loro famiglie. È importante tenerlo a mente, perché sembra che molti economisti dimentichino questo punto fondamentale e parlano di economia e di famiglie come se avessero una relazione del tutto casuale.

Per questo, è necessario che gli ordini sociali locali abbiano il maggior controllo sulle faccende economiche locali. Questo è il motivo per cui i distributisti propugnano il sistema delle gilde tra negozi a gestione locale, che pertanto possano rispondere direttamente alla comunità locale. Gli ordini sociali superiori non dovrebbero essere in grado di interferire nelle questioni economiche locali così tanto quanto lo sono ora. Prendiamo ad esempio il Farm Bill degli Stati Uniti. Si tratta di un’insieme di normative stabilite al più alto livello politico che interferiscono direttamente sulle decisioni economiche locali. Il Farm Bill sostiene certi tipi di attività agricola – tenendone i prezzi artificialmente bassi – e fa apparire l’attività agricola alternativa, nel confronto, inefficiente e dispendiosa. Perché pensate che i prodotti biologici cresciuti localmente siano più costosi? Perché dovrebbe essere più dispendioso non usare fertilizzanti chimici, antibiotici, processi come la pastorizzazione e l’omogeneizzazione, sementi geneticamente modificate e brevettate, immagazzinaggio e trasporto a lunga distanza? Ognuno di questi elementi aggiunge qualcosa al costo di produzione eppure i prodotti che li usano, tutti o alcuni, in qualche modo costano meno di quelli che non li usano. Questo accade perché il governo degli Stati Uniti non solo sovvenziona le gigantesche aziende agricole che si servono di quei procedimenti, ma insieme ai governi statali[2] interferisce spesso e volentieri con le piccole aziende che non se ne servono, soprattutto se osano offrire qualcosa come prodotti lattiero-caseari al naturale.[3] In una società distributista, i governi federali, statali e perfino provinciali avrebbero minore autorità per interferire con le questioni economiche locali, lasciando la maggior parte dell’autori­tà ai cittadini della comunità locale che vivono in quel determinato ambiente economico locale e ne dipendono. Essi sono del tutto capaci di stabilire degli standard di salute e sanitari.

Questo non significa che i livelli sociali superiori non debbano avere nessun coinvolgimento. Il principio di sussidiarietà non richiede questo. Ma esso offre le basi perché la comunità locale protegga i propri interessi, così limitando l’influenza corruttrice delle grandi aziende sulle politiche governative. Gli alti livelli di governo possono offrire assistenza nei momenti di bisogno e perfino servire da guida ma senza prendere il controllo.

Altre pratiche che ora consideriamo normali potrebbero altresì essere cambiate a beneficio dell’economia locale. Per esempio, i piani regolatori potrebbero essere riconsiderati in maniera tale da non costringere le persone a fare i pendolari. Mentre è ragionevole che una comunità decida di non avere certi tipi di azienda vicini a scuole o luoghi di residenza, ci sono molti altri tipi di attività per le quali questo, a mio avviso, non ha senso. Perché un fornaio non può vivere nello stesso edificio, o almeno nello stesso complesso di edifici, in cui si trova il suo forno? Il concetto che le zone residenziali debbano essere rigidamente separate dalle attività commerciali e aziendali non solo crea un maggiore incomodo per la comunità locale, ma costringe ad una spesa maggiore, perché gli aspiranti imprenditori devono acquistare due proprietà in cui vivere e lavorare, anziché una sola. Eliminare questo obbligo, laddove sia realizzabile, non solo abbasserebbe i costi d’impresa ma diminuirebbe anche il traffico collocando molte attività e negozi a breve distanza da casa.

Il distributismo è un’economia in cui le famiglie contano. È un’eco­no­mia che protegge le piccole attività economiche locali da quelle grandi. È un’economia non predatrice. È un’economia governata dall’etica.

 

[1] Qui “consolidamento”, consolidation, implica una difficoltà gravosa e sistematica a far spostare il possesso dei mezzi di produzione da un proprietario a un altro. Può sembrare esagerato, perché in teoria la compravendita o l’affitto di questo beni sono liberi, ma in realtà non è proprio così. Una decina di anni fa chiesi a un docente della mia ex-facoltà (Agraria) come mai la facoltà avesse deciso di specializzarsi nel formare figure professionali dedite ai servizi e non all’impren­di­­to­ria agricola. Mi rispose che in Europa è praticamente – non legalmente o formalmente ma praticamente – impossibile per un giovane qualunque acquistare o affittare un’azienda agricola: o la eredita oppure è ricco e allora si può permettere di pagare i prezzi richiesti, altrimenti niente. Questo è il tipo di consolidamento di cui parla l’autore – anche se certo un termine più espressivo sarebbe “cementazione”.

[2] Il governo degli Stati Uniti, U.S. Government, è il governo federale. Ciascuno Stato, però, ha un suo proprio governo, State government. Similmente, quando si parla di nazione, Nation, si parla degli Stati Uniti d’America; quando di parla di Stato, State, ci si riferisce al singolo Stato.

[3] Qui c’è qualcosa di potenzialmente fuorviante, perché l’Autore non ha menzionato i costi del lavoro tra i fattori di costo e questo rende improprio il confronto, qualunque sia il tipo di azienda (locale o multinazionale, biologica o convenzionale). È però possibile che negli Stati Uniti esistano, in materia, leggi molto differenti dalle nostre, che lo rendono valido.

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